Dov’è più profondo è uno spettacolo fatto di corporeità, suono e immagini, esito di un processo creativo in cui praticanti di forme canore e di oralità tradizionali dei territori ospitanti, sono stati invitati a condividere il proprio patrimonio musicale e culturale. Le loro voci sono state registrate, andando così ad implementare il repertorio di cori e di cantori spontanei ritrovabile in rari archivi e collezioni della Puglia, del Piemonte e della Valle d’Aosta.
In dov’è più profondo convivono narrazioni sovrapposte, canti spogliati da una provenienza unica e pensieri sulle identità e le tradizioni svincolati dall’ideale di purezza, per lasciare spazio all’imperfezione della mescolanza. Vi sono tracce di persone presenti e passate, abitanti di luoghi distanti tra loro, accomunate dal tempo della fatica e del lavoro, della socialità e del rapporto con la natura e la Storia.
Apparteniamo a una società che non contempla quasi più spazi-tempo dedicati alla ritualità, se non in forme spesso condizionate da immaginari largamente appiattiti. La creazione coreografica convoca allora a sè la potenza del canto, come luogo di una possibile condivisione sensibile tra esseri umani, per analizzare e celebrare aspetti semplici e importanti del vivere-insieme.
I territori attraversati nel portare avanti il percorso creativo, sono le valli al nord del Piemonte e della Valle d’Aosta, abitate anche dalle comunità germanofone Walser. Come tante altre minoranze e marginalità culturali, anche geograficamente molto distanti tra loro, quella Walser affronta su piccola scale le sfide che la società contemporanea conosce su scala planetaria: le questioni relative all’integrazione, ai separatismi, alla conservazione del paesaggio e alla trasmissione dell’identità linguistica e tradizionale, anche arcaica in alcuni casi.
Tali fenomeni e tali problematiche sono strettamente legati ai concetti di comunità, identità e tradizione, tra le parole più spesso cristallizzate nell’immaginario delle destre che le usano come strumento di propaganda. A partire dalla consapevolezza che l’identità è una cosa mobile e dinamica, uno degli interrogativi che ha dato inizio al processo é: siamo disposti a trattare la Tradizione ovvero a (lasciar) trasformare questo elemento della nostra identità, perchè sia ancora e nuovamente in relazione con il mondo che ci circonda?
La prospettiva scelta, l’unica possibile, per lavorare su questi molteplici percorsi, è da una parte quella della danzatrice che fa della sua corporeità uno strumento oltre che un campo di conoscenza; dall’altra, è quella della persona nata nel Tavoliere delle Puglie, a Cerignola, terra in cui è nato Giuseppe Di Vittorio ma, al contempo, uno dei territori-fulcro dello spregevole fenomeno del caporalato. La progettazione ha preso avvio a partire da uno specifico canto, un canto di lotta, un verso del quale ha dato il titolo allo spettacolo.
In scena, viene letta una lettera agli spettatori, per condividere ad alta voce le motivazioni profonde della creazione e viene esposto il primo dei punti di scaturigine del processo creativo.
Progetto, coreografia, scrittura vocale e performance: Irene Russolillo
Creazione sonora e performance: Edoardo Sansonne|Kawabate
Assistenza drammaturgica e cura: Irene Pipicelli
Disegno luci e direzione tecnica: Valeria Foti
Costumi: Vanessa Mantellassi
Fonti sonore: Archivio Sonoro Cantar Storie di Domodossola a cura di Luca e Loris Bonavia
Fonti visive: Walser Cultura e Archivio del BREL – Bureau Régional Ethnologie et Linguistique della Regione Valle d’Aosta
Il progetto è realizzato da Irene Russolillo con l’Associazione Culturale VAN nell’ambito del Premio CROSS Award 2019 di Verbania
col sostegno in residenza di Teatro della Cittadella di Aosta, NCA Small Theatre di Yerevan, Teatro M. Spina di Castiglion Fiorentino / Kilowatt, Compagnia Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze / Bando Abitante 2021
e il sostegno di ATCL – Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio, Orbita|Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza
Con la collaborazione di: Carrozzerie n.o.t di Roma e PARC – Performing Arts Research Center di Firenze
Col supporto di: Ministero della Cultura e Regione Emilia Romagna